RESPONSABILITA’ DELL’ENTE PROPRIETARIO DELLA STRADA EX ART. 2051 C.C.

Di seguito, sull’argomento, l’interessante massima di diritto estratta dalla Sentenza Cass. Civ., Sez. III, n. 11140 del 24.04.2024

l’ente proprietario di una strada si presume responsabile, ai sensi dell’art. 2051 cod. civ., dei sinistri riconducibili alle condizioni della struttura ed alla conformazione non solo della stessa, ma pure delle sue pertinenze, ivi compresi i c.d. “dissuasori di sosta”, salva la dimostrazione che l’installazione di tali manufatti sia avvenuta ad opera di terzi, in area ad essi assegnata e in forza di uno specifico titolo abilitativo e con esclusione di qualunque potere di controllo su di essi da parte del custode proprietario, ovvero, in difetto di tali condizioni, con tempi talmente rapidi, rispetto alla verificazione del sinistro, da non consentire l’intervento dell’ente custode“.

Testo integrale della Sentenza

Cassazione civile sez. III – 24/04/2024, n. 11140

Pres. DE STEFANO, Rel. GUIZZI Stefano Giaime

FATTO

1. TIZIO e CAIA, in qualità di genitori esercenti la responsabilità genitoriale sul figlio SEMPRONIO (ancora  minorenne al momento della proposizione della presente impugnazione), ricorrono, sulla base di due motivi, per la cassazione della sentenza n. 581/21, del 10 maggio 2021, della Corte d’appello di Lecce, che – nel respingerne il gravame esperito avverso la sentenza n. 359/18, del 29 gennaio 2018, del Tribunale di Lecce – ha confermato il rigetto della domanda risarcitoria dagli stessi proposta nei confronti del Comune di Me., in relazione al sinistro occorso al loro figlio il 16 agosto 2013, esito motivato in ragione del difetto di legittimazione passiva del convenuto, per mancata prova che i dissuasori di sosta, che provocarono l’incidente, fossero di proprietà del Comune ovvero sotto il controllo oppure la custodia dello stesso.

2. Riferiscono, in punto di fatto, gli odierni ricorrenti di aver adito l’autorità giudiziaria, lamentando che il figlio (Omissis), all’uscita da un ristorante sito nella via Rinascimento del Comune di Me., appoggiava il piede destro su di una catena di ferro che collegava tra loro due dissuasori di sosta, collocati sulla sede viaria. La pressione esercitata sulla catena dal peso, ancorché esiguo, del bimbo, determinava il ribaltamento di uno dei due dissuasori (che si rivelavano non ancorati al suolo), finito sull’avampiede destro del minore, procurandogli gravi lesioni personali.

Il Comune di Me., convenuto in giudizio, non contestava affatto di essere l’ente proprietario della pubblica via, limitandosi a dedurre di non esserlo pure dei dissuasori posati sul suolo pubblico.

Istruita la causa anche attraverso lo svolgimento di consulenza tecnica d’ufficio, la domanda risarcitoria veniva rigettata dal primo giudice, rilevando “che spettava all’attore provare la sussistenza del rapporto di custodia ex art. 2051 cod. civ.” o, comunque, che il fatto illecito fosse “riconducibile al Comune”, ciò che, nella specie, non sarebbe avvenuto.

La decisione veniva confermata dal giudice d’appello, che ribadiva come gli allora appellanti non avessero posto all’attenzione della Corte territoriale “alcun elemento idoneo a dimostrare che, pur in presenza della innegabile delimitazione con strisce bianche (evidentemente apposte dai proprietari dell’esercizio commerciale) della zona su cui risultano collocati i manufatti, il perimetro di suolo in questione non potesse considerarsi riservato al ristorante”.

Veniva, in particolare, ritenuto corretto il ragionamento del primo giudice, secondo cui “dalle foto in atti si evince che i dissuasori si trovavano difronte al ristorante”, essendo “agli angoli di un rettangolo delimitato da strisce bianche, che evidenziano una zona di suolo pubblico riservata allo stesso esercizio commerciale”, sicché “da ciò deve desumersi che è stato quest’ultimo ad installare i dissuasori”.

3. Avverso la sentenza della Corte salentina hanno proposto ricorso per cassazione TIZIO e CAIA, nella già indicata qualità, sulla base – come detto – di due motivi.

3.1. Il primo motivo denuncia – ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. – violazione dell’art. 2051 cod. civ., nonché violazione e falsa applicazione degli artt. 2051 e 2697 cod. civ. Il giudice d’appello avrebbe errato palesemente nell’applicazione dell’art. 2051 cod. civ. “a fronte della circostanza, acquisita agli atti del giudizio, che i dissuasori fossero collocati sulla pubblica via”, trascurando di considerare “che il rapporto di custodia si sostanzia nella disponibilità materiale e giuridica del bene (pubblica via) da cui consegue il potere/dovere di intervento su di essa”.

Difatti, “indipendentemente dalla proprietà di detti dissuasori o dal soggetto che materialmente li ha posati in opera sulla carreggiata”, il fatto stesso che vi fosse sulla stessa “un elemento atto a porre in pericolo l’incolumità pubblica determinava l’insorgere dell’esercizio del potere/dovere di custodia”.

Era, dunque, la “titolarità della pubblica via” che “determinava ex sé l’insorgere del rapporto di custodia”, sicché, una volta acclarata tale evenienza, “il Comune avrebbe potuto dedurre solo due circostanze per sottrarsi alla responsabilità da custodia”, ovvero “che l’area di che trattasi era stata oggetto di concessione in favore di un soggetto terzo” (e in tal caso “avrebbe dovuto fornire la prova documentale della concessione”), oppure “che i dissuasori erano stati posti in un arco temporale così ravvicinato da non consentire il potere di controllo da parte dell’Ente proprietario dell’area demaniale”.

3.2. Il secondo motivo denuncia – ex art. 360, comma 1, n. 4), cod. proc. civ. – nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. I ricorrenti lamentano che sebbene la loro citazione contenesse una specifica domanda di condanna al risarcimento ai sensi dell’art. 2051 cod. civ. ovvero ai sensi dell’art. 2043 cod. civ., la Corte salentina ha omesso di pronunciarsi su quest’ultima.

4. Ha resistito all’avversaria impugnazione, con controricorso, il Comune di Me., chiedendo che la stessa sia dichiarata inammissibile o, comunque, rigettata.

5. La trattazione del presente ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380-bis.1 cod. proc. civ.

6. I ricorrenti hanno depositato memoria.

7. Il Collegio si è riservato il deposito nei successivi sessanta giorni.

MOTIVI

8. Il ricorso va accolto, nei termini di seguito indicati.

8.1. Il primo motivo è, infatti, fondato.

8.1.1. Nello scrutinarlo, occorre muovere dal principio – che risulta consolidato nella giurisprudenza di questa Corte – secondo cui la responsabilità da cose in custodia (sui cui presupposti e sulla cui articolazione può qui bastare un rinvio alla motivazione di Cass. Sez. 3, ord. 28 novembre 2023, n. 33074, ove compiuti riferimenti) è ravvisabile anche in relazione ai beni demaniali (tra le più recenti, Cass. Sez. 3, sent. 22 settembre 2023, n. 27137, non massimata), e quindi pure alle strade pubbliche, di talché “agli enti pubblici proprietari di strade aperte al pubblico transito è in linea generale applicabile l’art. 2051 cod. civ., in riferimento alle situazioni di pericolo immanentemente connesse alla struttura o alle pertinenze della strada, indipendentemente dalla sua estensione” (così, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent.29 luglio 2016, n. 15761, Rv. 641162-01; nello stesso senso, tra le molte, già Cass. Sez. 3, sent.29 marzo 2007, n. 7763, Rv. 596965-01, nonché, successivamente, Cass. Sez. 3 ord.1° febbraio 2018, n. 2481, Rv. 647935-01). È stato, inoltre, precisato, sempre con riferimento alla custodia di strade pubbliche, che “la responsabilità ex art. 2051 cod. civ. postula la sussistenza di un rapporto di custodia della cosa e una relazione di fatto tra un soggetto e la cosa stessa, tale da consentire il potere di controllarla, di eliminare le situazioni di pericolo che siano insorte e di escludere i terzi dal contatto con la cosa”, sussistendo – in questo, e in ogni altro caso in cui la suddetta norma risulti applicabile – “un’ipotesi di responsabilità oggettiva, il cui unico presupposto è l’esistenza di un rapporto di custodia”, essendo “del tutto irrilevante”, per contro, “accertare se il custode sia stato o meno diligente nell’esercizio della vigilanza sulla cosa” (così, in motivazione, Cass. Sez. 3, ord. n. 2481 del 2018, cit.). Di conseguenza, “il danneggiato ha il solo onere di provare l’esistenza di un valido nesso causale tra la cosa ed il danno, mentre il custode ha l’onere di provare che il danno non è stato causato dalla cosa, ma dal caso fortuito, ivi compreso il fatto dello stesso danneggiato o del terzo” (cfr., nuovamente in motivazione, Cass. Sez. 3, ord.n. 2481 del 2018, cit.).

D’altra parte, non irrilevante – sempre nella medesima prospettiva della responsabilità ex art. 2051 cod. civ. degli enti proprietari delle strade – è la circostanza che essi, ai sensi dell’art. 14, comma 1, cod. strada, debbono provvedere, tra l’altro, “alla manutenzione, gestione e pulizia delle strade, delle loro pertinenze e arredo, nonché delle attrezzature, impianti e servizi”, altresì “precisandosi (comma 3) che per le strade in concessione i poteri e i compiti dell’ente proprietario della strada previsti dal codice della strada sono esercitati dal concessionario, salvo che sia diversamente stabilito” (così, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent.9 giugno 2016, n. 11802, Rv. 640205-01).

8.1.2. Orbene, alla stregua di tali principi, ha errato la sentenza impugnata, nel rigettare la domanda risarcitoria sul presupposto che i dissuasori, presenti sul tratto di strada pubblica difronte al ristorante, fossero “posizionati agli angoli di un rettangolo delimitato da strisce bianche, che evidenziano una zona di suolo pubblico riservata allo stesso esercizio commerciale”, ritenendo, per ciò solo, che da tanto dovesse “desumersi che è stato quest’ultimo ad installare i dissuasori”, così, pertanto, escludendo che “il Comune avesse alcuna responsabilità sugli stessi”.

Al contrario, la semplice presenza dei dissuasori sul suolo pubblico – fatto non contestato dal Comune – legittimava, alla stregua dei principi sopra richiamati, la pretesa risarcitoria ex art. 2051 cod. civ. fatta valere nei suoi confronti.

Era, dunque, a carico del convenuto – come correttamente osservano i ricorrenti – la dimostrazione o del titolo amministrativo in forza del quale terzi, non solo fruivano dell’area in questione, ma erano stati abilitati all’installazione dei dissuasori e per di più in modo tale da escludere qualunque signoria di fatto sui medesimi da parte del custode della strada pubblica, ovvero che tali manufatti, in assenza di un titolo siffatto, fossero stati posti in un arco temporale così ravvicinato da non consentire il potere di controllo da parte dell’Ente proprietario dell’area demaniale. Sussistendo, infatti, la seconda delle evenienze testé delineate, avrebbe potuto trovare applicazione il principio secondo cui la pubblica amministrazione “è liberata dalla responsabilità civile ex art. 2051 cod. civ., con riferimento ai beni demaniali, ove dimostri che l’evento è stato determinato da cause estrinseche ed estemporanee create da terzi, non conoscibili né eliminabili con immediatezza, neppure con la più diligente attività di manutenzione, ovvero che l’evento stesso ha esplicato la sua potenzialità offensiva prima che fosse ragionevolmente esigibile l’intervento riparatore dell’ente custode” (così, da ultimo, Cass. Sez. 3, ord.11 marzo 2021, n. 6826, Rv. 660907-01; analogamente, Cass. Sez. 3, ord.9 marzo 2020, n. 6651, Rv. 657165-01; Cass. Sez. 3, ord.18 giugno 2019, n. 16295, Rv. 654350-01; Cass. Sez. 6-3, ord.19 marzo 2018, n. 6703, Rv. 648489-01).

8.2. Il secondo motivo resta assorbito dall’accoglimento del primo.

9. In conclusione, il primo motivo di ricorso va accolto e la sentenza impugnata va cassata in relazione, rinviando alla Corte d’appello di Lecce, in diversa composizione, per la decisione sul merito, oltre che sulle spese di lite, ivi comprese quelle del presente giudizio di legittimità, in applicazione del seguente principio di diritto:

“l’ente proprietario di una strada si presume responsabile, ai sensi dell’art. 2051 cod. civ., dei sinistri riconducibili alle condizioni della struttura ed alla conformazione non solo della stessa, ma pure delle sue pertinenze, ivi compresi i c.d. “dissuasori di sosta”, salva la dimostrazione che l’installazione di tali manufatti sia avvenuta ad opera di terzi, in area ad essi assegnata e in forza di uno specifico titolo abilitativo e con esclusione di qualunque potere di controllo su di essi da parte del custode proprietario, ovvero, in difetto di tali condizioni, con tempi talmente rapidi, rispetto alla verificazione del sinistro, da non consentire l’intervento dell’ente custode”.

10. Infine, per la natura della “causa petendi” va di ufficio disposta l’omissione, in caso di diffusione, delle generalità e degli altri dati identificativi del minore che ha patito le lesioni per cui è causa, ai sensi dell’art. 52 del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, dichiarando assorbito il secondo e cassa in relazione la sentenza impugnata, rinviando alla Corte d’appello di Lecce, in diversa composizione, per la decisione sul merito, oltre che sulle spese di lite, ivi comprese quelle del presente giudizio di legittimità.

Dispone che, ai sensi dell’art. 52 del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, in caso di diffusione del presente provvedimento siano omessi generalità ed altri dati identificativi del minore che ha patito le lesioni per cui è causa.

Così deciso in Roma, all’esito dell’adunanza camerale della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, svoltasi il 21 dicembre 2023.

Depositato in Cancelleria il 24 aprile 2024.

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